Il caso Welby tiene ormai banco da settimane, fino a essersi trasformato in un tormentone. Sono fin troppo chiari gli scopi che si propone di raggiungere questo ennesimo piagnisteo mediatico (avevano provato con Coscioni, ma gli era andata male): porre il principio che la vita non è intangibile, e annientare il risultato morale del referendum sulla legge 40, mai digerito dalla stampa laicista (ricordo che Radio 24, con particolare slealtà, non dette nemmeno la notizia del fallimento del quorum nella sua edizione delle 15, a seggi ormai chiusi). Ciò che sta avvenendo in questi giorni è sia la vendetta per quel fallimento, sia il rilancio per una biopolitica ancora più inumana e arbitraria.
Ma qual è stata la reazione del mondo cattolico, a parte la voce coraggiosa del Papa e di alcuni vescovi? Niente, silenzio assoluto, o al massimo assensi di routine. Di fronte alle "veglie" organizzate dai radicali in 50 città (credo che il numero però sia gonfiato, varrebbe proprio la pena di verificare) dove sono i milioni di persone che hanno fatto la fila per andare a vedere il feretro del Papa Santo, Giovanni Paolo II? Dov'è il milione di giovani della GMG? Dove sono i 30.000 o 50.000 presenti bisettimanalmente all'Angelus di Papa Benedetto XVI? Fedeli, o soltanto turisti del sacro? Perché i sacerdoti non hanno il coraggio di invitare a veglie di preghiera per la vita, non in 50, ma in 50.000 parrocchie? Che ne è di queste folle tanto sorridenti quanto smemorate? Aveva forse ragione Giovanni Testori a parlare di "idiota allegria cattolica"?
E' facile vivere momenti di grande commozione e intensità, più facile ancora quando si è in tanti, ben chiusi nel nido caldo della parrocchia, del movimento, del gruppo scout o quel che volete voi. Ma molto più difficile testimoniare Cristo da soli, nel proprio ambiente, nel proprio condominio, di fronte ai propri colleghi sprezzanti e ostili verso la religione (quella cattolica, non certo quella islamica, hanno troppa fifa! E poi l'islam, religione senza misteri e senza sacerdozio, è molto più compatibile col potere laicista che non il cristianesimo).
Noi cattolici stiamo dando il triste spettacolo di un enorme corpo senza braccia per agire, e soprattutto senza la testa per pensare e rispondere ai sofismi e al bombardamento mediatico dei radicali e dei mass-media. Un gigante, non dico coi piedi d'argilla, ma inconsapevole della propria forza, e troppo riluttante a usarla, anche perché abbiamo interiorizzato e trasformato in paralizzanti complessi di colpa tutte le accuse, anche quelle più infondate e ingiuste, contro la nostra fede.
Abbiamo teso la mano al "mondo", ma il "mondo" è rimasto quello di cui parla il Vangelo di Giovanni: il luogo dell'ostilità e dell'odio a Cristo. Troppo ingenuamente abbiamo pensato che bastasse essere "cristiani coerenti", cioè buoni a volte fino alla stupidità (dimenticando Mt 10,16), docili pagatori di tasse, volenterosi sgobboni sul lavoro, piamente tolleranti verso tutte le opinioni, disposti anche a criticare e ingiuriare la Chiesa, per farci amare e accettare dagli altri. Non potevamo sbagliarci più di così, e le conseguenze sono state duplici. Una gran parte dei fedeli se n'è andata, banalizzando la fede in un superficiale buonismo irenista. E quelli che sono rimasti, coloro che veramente hanno voluto percorrere la strada della coerenza evangelica, si sono resi conto che l'odio del mondo non è diminuito nei loro confronti, anzi è aumentato. Basti pensare a Frére Roger, Annalena Tonelli, Suor Leonella Sgorbati, Don Andrea Santoro.
Con questo non voglio dire che i cristiani debbano farsi volgarmente "furbi", adeguarsi al cinismo di questo mondo e tornare a usare la forza e la sopraffazione. Dico soltanto che gli attuali avvenimenti devono renderci consapevoli di quale sia il prezzo reale dell'aderire a Cristo, che comporta il coraggio della testimonianza esplicita e non solo della vita coerente (con buona pace del pelagianesimo alla Tettamanzi), l'emarginazione sul lavoro, l'imbavagliamento mediatico, persino le aggressioni verbali e fisiche.
Non ci sono sconti. E non è il numero che ci renderà forti di fronte al mondo, ma la consapevolezza di una inesorabile diversità tra noi e il mondo, la consapevolezza di una ricchezza e di una libertà che il mondo non possiede, per quanto grandi possano sembrare le sue conquiste.
Invece di auto-colpevolizzarci, dovremmo recuperare un sano orgoglio, anzi una sana gratitudine per la grazia che Dio ci ha fatto venendo nella carne, abbracciando e salvando la nostra vita e la nostra morte. al di là di ogni falsa sicurezza nei nostri meriti, nella nostra bontà, nella nostra volontà di "dialogo", sarà lo stupore dell'avvenimento cristiano, e della sua radicale diversità rispetto al cinismo del mondo, a renderci capaci di contrattacco contro un pensiero tanto inumano come quello laicista che imperversa e imperverserà sempre più.
Giovanni Romano