domenica 27 febbraio 2011

Per favore, Don Corinno, non suoni le campane a festa!



Caro Don Corinno,

non so se il mio intervento sia opportuno in un momento terribile come questo. Lei ha dovuto condividere, e sta condividendo, l'immenso dolore dei genitori di Yara. Lei ha pianto con loro ed è rimasto in silenzio con loro, perché in un'occasione come questa non c'è nulla che si possa dire, solo portare insieme il lutto con la propria presenza, per quello che si può.

Lei ha avuto il grande coraggio di proclamare a viso aperto l'orribile verità che il mostro potrebbe essere nel paese, tra i conoscenti della famiglia e della ragazzina. E allora perché, di fronte a questo dolore che richiederebbe riflessione e silenzio da parte di ognuno di noi, ha deciso di suonare ogni ora le campane a festa e non a lutto? Sì, Yara è un angelo e la morte non deve avere l'ultima parola, ma quel suono gioioso stride troppo con un dolore umano che chiede ragione. Non sono io che Le devo ricordare le parole dell'Ecclesiaste: c'è un tempo per ogni cosa, tempo per ridere e tempo per piangere. E questo non è il momento della gioia, o non lo è ancora. Ci lasci per favore le nostre lacrime che sono anch'esse una domanda a Dio prima di ogni risposta. Suoni piuttosto le campane a morto, come si faceva una volta. Con quei rintocchi lenti e terribili ci richiami alla brevità della vita e al mistero del dolore, così che ognuno sia interpellato e che soprattutto l'assassino, se è tra i Suoi parrocchiani, si senta sconvolgere e mordere senza sentirsi prematuramente assolto.
Mi scusi lo sfogo, Don Corinno. Ho la disgrazia di avere un carattere triste e permaloso. Ma l'allegria delle campane a festa oggi, proprio oggi, non la capisco.
Giovanni Romano

venerdì 25 febbraio 2011

La "libertà di morire" genera abbandono terapeutico

Dal sito Catholicnewsagency.com

di Alan Holdren

Roma, 24 febbraio 2001 / 07:26pm - Le storie da incubo sulla malasanità nei confronti degli anziani in Inghilterra e nel Galles sono il risultato di una nuova generazione di "gente spaventata" che vede gli anziani, gli handicappati e i malati come "un peso" e come "esseri inutili", secondo un consulente del Vaticano.

All'inizio del mese le autorità britanniche hanno riferito che ci sono gravi carenze nel sistema sanitario nazionale.

Secondo un'analisi condotta sui certificati di morte delle case di riposo dall'Ufficio Statistico Nazionale, 667 pazienti ospedalieri sono morti di disidratazione tra il 2005 e il 2009 in Inghilterra e nel Galles.

Lo studio ha anche messo in luce un aumento delle morti nel sistema sanitario nazionale causate da negligenza, dovute a malnutrizione, sangue contaminato e infezione da piaghe da decubito durante lo scorso decennio.

I risultati dell'inchiesta hanno suscitato urgenti appelli alle riforme in Inghilterra e hanno anche attirato l'attenzione del quotidiano vaticano.

Il Dr. Carlo Belleni, che tiene una rubrica sulle questioni legate alla bioetica e alla cura, ha scritto il 19 febbraio che la mancanza di cure è in realtà "scandalosa... ma non sorprendente".

Ha citato il caso di altre inchieste presentate davanti al parlamento britannico in anni recenti sul cattivo trattamento nei confronti dei malati di mente, che ha definito "invisibili" agli occhi del sistema sanitario nazionale britannico.

"In breve, chiunque stia più calmo riceve un trattamento proporzionalmente inferiore", ha detto Bellieni.

Neil Duncan-Jordan della National Pensioners Convention ha dichiarato al Daily Mail che è "assolutamente sconvolgente" che queste cause stiano provocando un numero così alto di decessi.

"Ciò che questi dati rivelano è che un numero significativo di anziani nelle case di cura hanno un'assistenza di terz'ordine".

Ha detto di essere rimasto colpito dal fatto che sono morti di denutrizione, di sete o perché non erano accuditi abbastanza bene a letto, eppure probabilmente pagavano l'equivalente di circa 800 sterline a settimana.

"Per loro essere trattati in quel modo non è niente di meno che scandaloso", ha detto.

Un'inchiesta separata da parte dell'Health Service Ombudsman pubblicata agli inizi dell'anno ha messo in luce dieci storie di abbandono di pazienti in ospedale. Alcuni erano stati tenuti per settimane o mesi a corto di cibo, acqua e pulizie.

In un caso, gli apparecchi che tenevano in vita un uomo sono stati staccati prima che i suoi figli ne fossero informati. [Il neretto è mio, N.d.T.]

Su migliaia di reclami presentati agli ospedali del servizio sanitario nazionale, una maggioranza schiacciante di quelli presi in esame coinvolge pazienti anziani.

Bellieni ha citato uno studio pubblicato nel "Journal of the American Medical Association" dove si sottolineava questo punto in maniera particolare. I risultati di un sondaggio mostravano che in un certo numero di nazioni occidentali "la maggioranza dei dottori pensa che la vita con disabilità neurologiche, ma anche con un grave handicap fisico, sia peggiore della morte".

Questa prospettiva, ha detto, è "il segno di una ferita culturale, un profondo scoraggiamento morale che considera la disabilità non come qualcosa da superare, ma qualcosa di intollerabile, verso cui si sente avversione, non compassione".

"Si cercano soluzioni per come aiutarli a morire e non per come aiutarli a vivere meglio", ha detto.

"La questione della morte con dignità non sta nel come affrettarla, bensì nel come vincere il dolore e la solitudine", ha detto il dottore. "Ma si è creato scientificamente un clima di terrore verso una potenziale e improbabile persistenza nel mantenere (le persone) in vita".

Nel mondo oggi si sta creando "una generazione di gente terrorizzata" che "sa solo come cercare modi per difendersi, per mettersi al riparo, per fuggire, che guardano alla morte come l'ultima disperata consolazione, perché la vita ha ultimamente perduto (il suo) significato e la sua attrattiva".

Questa prospettiva porta la gente a cercare "strategie di uscita" per vite che sono diventate "insopportabili" ai loro stessi occhi", ha spiegato.

Bellieni ha affermato che "l'abbandono degli anziani... non è un problema di malasanità ma di disperazione culturale di fronte ai malati... fino a quando restano in vita".

Unathorized translation by
Giovanni Romano

giovedì 24 febbraio 2011

Qualche dubbio sui "profughi" tunisini


Non c'è molto da aggiungere quanto ai commenti sulla slavina umana che si sta rovesciando e si rovescerà sulle nostre coste. Probabilmente, se le cose continueranno a questo ritmo, le migliaia di arrivi di questi giorni saranno solo una minuscola avanguardia.

Si potrebbe tuttavia cercare di approfondire la questione con due domande che ben pochi organi d'informazione, meno che mai quelli di tendenza "immigrazionista" hanno posto finora, per lo meno che io sappia.

Primo. I migranti vengono definiti "profughi". Ma da che mondo è mondo i profughi fuggono a famiglie intere (chiedetelo ai nostri istriani, ad esempio, o a qualsiasi altro popolo in fuga). Questa ondata migratoria invece è composta al 99,9% di giovani maschi. Possibile che questi giovani uomini pensino solo alla propria pelle abbandonando al loro destino anziani, donne e bambini? E come mai invece nessuno ancora fugge dalla Libia, dove una guerra è realmente realmente in corso in queste ore?

Secondo. I profughi fuggono quando il popolo viene sconfitto, non quando ha vinto. E' vero che le notizie provenienti dall'Egitto e dalla Libia hanno fatto passare in secondo piano la situazione tunisina, ma sembra proprio che in quel paese la dittatura sia stata sconfitta. E allora perché andarsene?

Chi sono realmente questi migranti, e cosa vogliono? E' vero che nei paesi del Maghreb la situazione economica e occupazionale è insostenibile (e allora ha senso venire in Europa lasciandosi dietro la famiglia con la prospettiva di mantenerla con le proprie rimesse). E' vero anche che le rivolte sono scoppiate per l'aumento improvviso e ingiustificato del prezzo del pane, ma emigrare in massa e saturare i paesi ospitanti, anch'essi in recessione, può essere una soluzione? Oppure anche la miseria rappresenta ormai una merce da esportazione, che graverà sui paesi di arrivo più che su quelli di partenza?

Giovanni Romano

sabato 12 febbraio 2011

Ciechi davanti al rischio islamico

Traduco questo articolo dal sito Catholicnewsagency . Ma credo che questo sarà l'ennesimo avvertimento che passerà inascoltato, come passò inascoltato l'avvertimento dell'arcivescovo di Smirne al quale un alto esponente islamico dichiarò tranquillamente: "Con le vostre leggi democratiche vi invaderemo, con le nostre leggi islamiche vi domineremo". Certo non lo ha ascoltato il Cardinale Tettamanzi, che anziché preoccuparsi degli islamici che violarono il sagrato del Duomo di Milano per pregare in aperto spregio ai cordoni della polizia, si preoccupa con la massima sollecitudine di far costruire moschee e minareti...
L'Occidente non riesce a capire il rischio di "islamizzazione",
avverte un arcivescovo iracheno
KIRKUK, Iraq, 11 febbraio 2011 / 01:35 pm - Il mondo occidentale secolarizzato è incapace di comprendere pienamente la minaccia di un "risveglio dell'islam" nel Medio Oriente, secondo un vescovo iracheno assediato dai movimenti radicali nella sua stessa arcidiocesi.
In un'intervista con l'agenzia dei vescovi italiani SIR, l'arcivescovo Luis Sako di Kirkuk, Iraq, ha definito il Medio Oriente "un vulcano spaventoso" a causa delle possibili conseguenze di agitazioni diffuse.
"Ci sono forze e movimenti islamici che vogliono cambiare il Medio Oriente, creando stati islamici, i califfati, dove domini la Sha'ria", ha avvertito.
I gruppi radicali presenti in Iraq come Al Quaeda e Ansar al Islam stanno facendo appello ai cittadini di altre nazioni del Medio Oriente per inoculare un'influenza islamica in proteste altrimenti non religiosamente motivate come in Tunisia e in Egitto.
Per l'arcivescovo Sako questi appelli hanno "la chiara intenzione di alimentare... un totale cambiamento religioso" nell'area.
"Sono voci che potrebbero trovare terreno fertile in Egitto e altrove e quindi non dovrebbero essere sottovalutate. anche perché ci sono potenze regionali i cui leaders hanno definito queste rivolte come un 'risveglio dell'islam'", ha dichiarato.
In pratica, lo scopo di questi fondamentalisti è "creare un vuoto per poterlo riempire di temi religiosi, convinti che l'islam sia la soluzione per ogni problema".
In Egitto, i manifestanti insistono che le proteste diffuse non hanno motivazioni religiose o etniche, ma nascono piuttosto da un malcontento generale contro situazioni sociali e politiche di estrema povertà.
Alcuni temono, però, che le associazioni islamiche organizzate come i Fratelli Musulmani siano in ottima posizione per trarre vantaggi0 dalla confusione a proprio beneficio politico.
Perché le agitazioni potrebbero venire manipolate da opportunisti fondamentalisti, l'arcivescovo Sako ha definito il Medio Oriente "un vulcano spaventoso".
Se l'Egitto dovesse diventare uno stato islamico, ha detto, sarebbe "un problema per tutti" e avrebbe "innegabili contraccolpi negativi per le minoranze cristiane".
Secondo l'arcivescovo, l'Europa e il Nord America sono ciechi di fronte alla possibilità di una tale "islamizzazione" del Medio Oriente.
"La mentalità occidentale non permette di comprendere pienamente quel rischio", ha detto.
Ha spiegato che la politica e la religione sono interconnesse nel Medio Oriente, mentre vi è "un vuoto tremendo" tra le due nelle nazioni occidentali.
Il risultato sono due estremismi, ha detto. La mentalità mediorientale è dominata dall'islam, mentre in Occidente domina un secolarismo che nega le radici cristiane e relega i valori cristiani alla sfera privata.
Sebbene la "violenza materiale" non appaia in Occidente, la privatizzazione generale del cristianesimo è "contro la democrazia", ha detto. "In Oriente, al contrario, vale l'opposto: la religione pervade ogni cosa".
Ha definito "sconosciuto e inquietante" il futuro del Medio Oriente, e ha detto che la comunità internazionale è "incapace di muoversi" per fare fronte ai recenti sviluppi degli avvenimenti.
I cristiani iracheni -tormentati dalla violenza e dalla mancanza di sicurezza- guardano alla crisi egiziana con "tristezza", ha detto all'agenzia SIR. Hanno paura che la nazione nordafricana potrebbe cadere in preda alle stesse divisioni etniche e religiose.
L'arcidiocesi dell'arcivescovo Sako è stata duramente colpita dalla violenza degli estremisti. Nove cristiani sono morti e altri 104 sono rimasti feriti a Kirkuk.
La paura che hanno i sopravvissuti per la situazione egiziana, ha detto il prelato, è che diventi "un nuovo Iraq".
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Giovanni Romano

venerdì 28 gennaio 2011

Mozart: un destino "necessario"?



Ieri discutevo via Facebook con un caro amico a proposito di Mozart, e ricordavamo un episodio che lo vide protagonista in occasione del suo viaggio a Roma nella Pasqua del 1770, quando aveva solo 14 anni. Il padre lo accompagnò alla Cappella Sistina per ascoltare il famoso Miserere di Allegri che si cantava solo il Venerdì Santo alla presenza del Papa e dei cardinali. Era una cerimonia estremamente suggestiva. La sala era buia, illuminata soltanto dalle torce tenute in mano dai cardinali vestiti dei paramenti neri, e man mano che il bellissimo Miserere per sole voci e doppio coro procedeva, ciascun cardinale andava a inginocchiarsi di fronte al Papa e spegneva la sua torcia, fino a quando la Cappella restava immersa nel buio e le voci si spegnevano in un profondissimo silenzio.
Lo spartito del Miserere era un segreto rimasto gelosamente custodito per quasi un secolo. Lo si poteva ascoltare solo a Roma e solo il Venerdì Santo. Eppure Mozart, tornato a casa, lo trascrisse a memoria, senza dimenticare (così si dice) nemmeno una legatura. Da quel momento il Miserere di Allegri fu conosciuto in tutto il mondo. I maestri della Cappella Sistina avevano previsto tutto ma non di avere a che fare con un genio.
Questo episodio basterebbe a smentire le tesi di coloro che, come Tolstoj e Brecht, credono che la storia proceda sui binari di un determinismo impersonale e che l'individuo, specialmente il genio, non abbia importanza. Ma c'è un punto ancora più significativo che la discussione mi ha fatto tornare in mente. In un romanzo del quale non ricordo né l'autore né il titolo (lo citava il Professor Franco Cassano in Partita doppia, credo) il narratore si mette nei panni di Mozart e gli fa esprimere tutta l'amarezza e il rimpianto di essere stato costretto a diventare un "fanciullo prodigio", brutalmente sfruttato dal padre che gli avrebbe rubato l'infanzia che tocca a ogni bambino. E per contrasto mi è venuto in mente il celebre saggio di Virginia Woolf a proposito della "sorella di Shakespeare" dotata quanto il fratello, appassionata della vita quanto il fratello, creativa e geniale quanto il fratello, ma condannata a lasciare arrugginire e far morire i suoi talenti nel matrimonio, nei figli, nelle faccende domestiche, solo perché donna.
Lasciamo perdere le implicazioni fin troppo devastanti che hanno avuto le tesi di Virginia Woolf sulla famiglia e sul matrimonio, e chiediamoci: chi dei due ha ragione? Da una parte si sostiene che i talenti siano un peso e quasi una maledizione di fronte a una vita "normale". Dall'altra si sostiene esattamente il contrario: è la vita "normale" a essere una maledizione di fronte alla prospettiva di liberare i propri talenti. Sembrerebbero due argomenti che si annullano a vicenda, ma non è così. Siamo proprio sicuri che a Mozart dispiacesse la fatica che comporta inevitabilmente la cura del proprio talento? Siamo proprio sicuri che fosse un forzato della musica? Al contrario, è certo che i suoi primi anni furono contrassegnati da una impressionante facilità e felicità di creare. Fu solo dopo, man mano che maturò come uomo e come artista, che comporre gli divenne più difficile, più tormentato ma enormemente più profondo. Avremmo dovuto rinunciare a tutta la bellezza che ci ha dato a vantaggio di una sazia mediocrità? E non nemmeno è giusto, come fa la Woolf, pensare che la famiglia e il matrimonio siano nemici dell'arte e della creatività, basti pensare a Bach, che avviò alla carriera artistica anche qualcuna delle sue figlie.
"Quando la gente si accorge che sai suonare, / suonare ti tocca, per tutta la vita". Nella semplice saggezza del Suonatore Jones che ci parla dall'Antologia di Spoon River forse si trova la risposta. Al proprio destino non si può sfuggire, e anche il Vangelo condanna chi seppellisce sotto terra il proprio talento.
Giovanni Romano

Caso Cesaroni: un'epidemia di pietà?

In un momento nel quale tutti sembrano avere i nervi a fior di pelle, dove il linciaggio morale è diventata la norma, dove volano accuse, controaccuse, insinuazioni al vetriolo, dove non si desidera niente di meno che l'annientamento dell'avversario, la reazione alla sentenza del processo per l'omicidio di Simonetta Cesaroni sembra andare soprendentemente controcorrente. I giornali hanno riversato tonnellate di compassione sull'accusato, Raniero Busco, compiangendolo per il malore avuto in aula, per la moglie e i figli che dovrà lasciare per una condanna niente affatto lieve, ma comunque inferiore alla pena dell'ergastolo richiesta dal Pubblico Ministero.
In questa reazione, ammettiamolo, c'è un briciolo di verità perché la sentenza arriva tardi, veramente molto tardi, e per giunta sul processo pesa come un macigno il "suicidio" del principale testimone, Pietrino Vanacore. Ma non mi unisco al coro di quelli che considerano Busco quasi come la vittima di un perverso accanimento giudiziario e di una persecuzione della famiglia di Simonetta. Se Busco è colpevole deve pagare, e non ha nessuna importanza che "Se anche fosse coipevole, in tutti questi anni si è rifatto una vita e non ha più dato fastidio a nessuno. Ormai è un altro uomo", come ho sentito dire ieri su Radio 1 da una giornalista del "Messaggero".
Ma stiamo scherzando? Con questo metro di giudizio si sarebbero dovuti lasciare in pace anche i criminali nazisti come Kappler o Priebke, i torturatori di Videla e di Pinochet, i carnefici di Pol Pot. Anche loro si erano rifatti una vita, anche loro probabilmente non avevano più dato fastidio a nessuno. Ormai qualcuno di loro poteva essere davvero diventato un altro uomo, ma il delitto era rimasto lo stesso e continuava a chiedere giustizia.
Mi auguro sinceramente anch'io che Busco sia innocente, ma se è stato lui a uccidere con particolare crudeltà Simonetta Cesaroni, è troppo facile essersi rifatto una vita senza aver pagato il suo debito con la giustizia. Probabilmente la stampa e i media mostrano tanta pietà verso un condannato per omicidio perché ha la fortuna di non chiamarsi Silvio Berlusconi.
Giovanni Romano

giovedì 20 gennaio 2011

Non bastava il processo a Berlusconi, ora arriva anche la scomunica...

Ho sentito alla radio la dichiarazione del Card. Bertone di qualche ora fa. Non bastava mettere sotto processo Berlusconi, ora arriva anche la scomunica! E va bene, ammettiamo pure che Bertone e il Vaticano non avessero scelta, perché il loro silenzio poteva essere interpretato come acquiescenza. Ammettiamo anche che le abitudini di Berlusconi -tutte da dimostrare, del resto- siano discutibilissime, indegne di uno statista e corruttrici della pubblica moralità.

Ma quando mai Bertone e i vescovi si sono pronunciati con toni altrettanto veementi nei confronti di un Prodi, ottimo marito e padre, che voleva dare diritti alle coppie di fatto e si è vantatp della sua posizione di "cattolico adulto" sui temi bioetici? Quando mai i vescovi sono stati altrettanto espliciti nei riguardi di un presidente di regione come Vendola, non solo per il suo orientamento sessuale ma anche per aver fatto della Puglia la prima regione d'Italia per numero di aborti? Perché i vescovi non hanno avuto nulla da dire sul presidente Napolitano, anche lui ottimo marito e padre, quando non ha voluto salvare la vita di Elunana Englaro? Vogliamo veramente che i cattolici si appiattiscano sugli anodini "valori comuni" di cui oggi ha parlato Napolitano, come la "legalità" che può essere piegata a qualsiasi arbitrio del potere?

Abbiamo pastori o mercenari che abbandonano il gregge e fuggono davanti ai lupi? Forse il Papa nel suo primo discorso li conosceva bene...

Giovanni Romano

giovedì 13 gennaio 2011

Tucson - Due cattolici tra le vittime


Riporto l'articolo comparso sul sito http://www.catholicnewsagency.com/ a proposito della strage di Tucson in Arozona, dove sono state uccise sei persone ed è stata gravemente ferita tra gli altri la deputata democratica Gabrielle Gifford. Laicisti e abortisti non hanno perso tempo ad accusare d'intolleranza chiunque non la pensi come loro, e in Italia "La Repubblica" si è abbassata fino a insinuare che dietro la strage ci fosse... la Chiesa cattolica (chi altri?). Ma questo articolo, a cui in Italia non si è dato alcun risalto, li sbugiarda in pieno perché erano cattoliche due delle vittime, la bambina di nove anni e il giudice John Roll (a sinistra nella foto), che con la Gifford aveva anche un rapporto di rispetto reciproco. L'assassino inoltre sembra aver agito più per motivi razziali (la Gifford è ebrea) che non per motivi legati all'aborto. Questo è il link al testo originale in inglese.


Se certi giornali e certi giornalisti fossero in grado di avere sentimenti umani, l'unico che dovrebbero provare è la vergogna.

L'arcivescovo Chaput ricorda la profonda fede cattolica
del giudice ucciso nella sparatoria di Tucson

Denver, Colorado, 11 gennaio 2011 / 05:54 pm (CNA/EWTN News) – L'arcivescovo di Denver Charles Chaput ha espresso profondo orrore per la recente sparatoria di Tucson che ha fatto sei morti e più di dodici feriti, sottolineando in particolare la vita e la profonda fede cattolica di una delle vittime, il giudice John Roll.

Il giudice federale John Roll è stato ucciso l'8 gennaio assieme ad altre cinque persone, compresa una bambina di nove anni, Christina Taylor Green.

La strage è avvenuta sabato quando il 22enne Jared Loughner ha aperto il fuoco in un supermercato locale dove la deputata democratica Gabrielle Gifford rieletta da poco stava tenendo un comizio. Loughner, un giovane asociale e ostile al governo, con una storia di turbe psichiche alle spalle, da quanto si è appreso aveva intenzione di uccidere la rappresentante verso la quale portava odio personale. La Gifford è viva ma in condizioni critiche dopo essere stata colpita alla testa a bruciapelo.

Nella sua rubrica del 12 gennaio sul Catholic Register di Denver, l'arcivescovo Chaput ha ricordato il giudice John Roll come una figura politica che viveva una vita di “potente, autentico testimone cattolico”.

L'arcivescovo ricorda un viaggio da lui fatto a Phoenix nel 2008 dove tenne l'omelia per la Messa annuale degli avvocati e i politici dello stato dell'Arizona. Quel giorno tra i fedeli c'era la moglie del giudice Roll, Maureen, “una cattolica attiva e molto determinata”.

L'arcivescovo Chaput dice che Maureen deve aver menzionato la sua omelia al giudice Roll perché dieci mesi dopo “ricevetti la prima di parecchie lettere straordinarie da suo marito”.

“E' impossibile conoscere completamente un uomo solo dalla corrispondenza”, scrive, “ma ciascuna delle lettere di Roll aveva le stesse quattro chiare caratteristiche: generosità, intelligenza, magnanimità e un sincero amore della sua fede cattolica”.

L'arcivescovo dice che due giorni dopo l'assassinio del giudice Roll ha parlato col suo assistente, l'avvocato Aaron Martin, che ha descritto il leader defunto.

Il giudice Roll era devoto a San Tommaso Moro e teneva una biografia del santo su un tavolo vicino alla sua scrivania. Era anche conosciuto come una figura paterna tra i suoi subordinati e manifestava un interesse sincero per le vite e le famiglie di coloro con cui lavorava.

“Gli piaceva assistere i primi passi dei giovani avvocati cristiani perché credeva che la loro fede gli avrebbe dato un miglior fondamento morale per la vocazione forense”, dice l'arcivescovo Chaput.

Il giudice Roll leggeva un certo numero di pubblicazioni cattoliche ogni domenica mattina prima della Messa per imparare di più sulla propria fede. Andava anche a nuotare ogni mattina alla sede locale dell'YMCA e si recava alla Messa quotidiana ogni volta che gli fosse possibile. Avebbe compiuto 64 anni l'8 febbraio, e lascia tre figli e cinque nipoti.

Secondo Aaron Martin, Maureen e John Roll si conoscevano da quando avevano quattordici o quindici anni.

“Sono stati, per tutto il tempo che hanno vissuto insieme, il migliore amico l'uno per l'altra”, dice l'arcivescovo Chaput, “avrebbero celebrato il loro quarantunesimo anniversario di matrimonio verso la fine di questo mese”.

“In conclusione, John Roll era un uomo di insolita signorilità spirituale”, osserva l'arcivescovo. “Nonostante le loro differenze politiche, il giudice Roll e la deputata Gabrielle Gifford, una democratica, avevano una relazione cordiale basata sul rispetto reciproco”.

Precisamente a motivo delle loro differenze, dice l'arcivescovo, il giudice Roll cercava di andare a salutare la Gifford ogni volta che poteva quando lei tornava nel suo collegio elettorale.

“La mattina della sua morte, il giudice Roll andò a Messa, e alle 9,55, secondo Martin, uscì di casa 'giusto per fare un salto' al comizio della Gifford come gesto di cortesia, per dirle ciao”.

“Non è mai più tornato a casa”.

“Questa vita passa”, dice l'arcivescovo Chaput nelle sue conclusioni. “L'eternità rimane per sempre. Dobbiamo agire di conseguenza in questo mondo, vivendo una vita cristiana di servizio agli altri”.

“Maureen e John Roll hanno condiviso una vita di tranquilla, forte, autentica testimonianza cattolica. Per favore ricordateli entrambi, e tutta la loro famiglia, nelle vostre preghiere”.

Copyright @ CNA
Unauthorized translation by Giovanni Romano

domenica 9 gennaio 2011

Tucson - Sei morti contro la causa della vita

La sparatoria di Tucson, dove sono state uccise sei persone e dove la deputata pro-aborto Gabrielle Gifford lotta tra la vita e la morte, non è solo un crimine abominevole di per sé, ma è il colpo più duro che sia stato sferrato contro la causa della vita negli Stati Uniti.
Proprio quando le resistenze contro l'abortismo e le manipolazioni genetiche stavano diventando realmente forti nell'opinione pubblica, proprio quando Obama era stato costretto a fare marcia indietro sul "favor mortis" e il testamento biologico, l'assurdo gesto di un criminale ha riportato indietro l'orologio di almeno trent'anni, forse irreparabilmente.
Ora la causa dell'aborto e della sperimentazione occisiva contro gli embrioni ha la sua martire, e i media -anche qui in Italia, naturalmente- hanno colto l'occasione per scagliarsi contro chiunque la pensa diversamente dal pensiero unico dell'aborto e delle manipolazioni genetiche. Fascistodi, nazistoidi, violenti, intolleranti e chi più ne ha più ne metta. Viene quasi il dubbio, in quest'epoca avvelenata dai sospetti, che il tempismo deell'attentato alla Gifford sia stato un po' troppo ben scelto per essere casuale, un po' come lo squilibrato che dette fuoco al Reichstag, guarda caso, fece mirabilmente il gioco di Hitler e dei nazisti. Quelli veri.
Giovanni Romano

Una lezione di coraggio ai pacifisti

La strage dei cristiani copti ad Alessandria D'Egitto da un lato ha rivelato la situazione precaria e pericolosa di questa minoranza minacciata dal fondamentalismo islamico (e non solo in Egitto), ma dall'altro ha provocato una reazione che almeno qui in Occidente nessuno di aspettava e che è passata quasi sotto silenzio. Centinaia, se non proprio migliaia di musulmani si sono stretti intorno alle chieste cristiane formando una barriera di scudi umani. Un meraviglioso gesto di solidarietà che non può fare a meno d'interrogarci e ci costringe ad alcune considerazioni:
In primo luogo, i cristiani non sono estranei alla società egiziana. Al-Quaeda e i fondamentalisti possono fomentare tutto l'odio che vogliono, ma molti "uomini della strada" musulmani sentono ancora i cristiani come loro vicini e amici.
Secondo, i musulmani (sia i fondamentalisti che i moderati) a quanto pare non hanno paura di esporsi per una fede che va oltre questo mondo. Noi cristiani occidentali parliamo tanto di solidarietà, di giustizia sociale, di "ultimi", ma quanti di noi avrebbero il fegato di esporsi a un attentato tutt'altro che improbabile, sapendo che, se il nostro corpo sarà distrutto, la nostra anima sopravviverà?
Infine, questo gesto smentisce le affermazioni di quei laicisti secondo cui le religioni sono sempre e comunque portatrici d'intolleranza e di fanatismo. Chi ha accettato di esporsi gratuitamente alla morte per salvare quelli che sentiva i suoi fratelli lo ha fatto precisamente perché crede in Dio. Certo, ci sono e ci saranno sempre quelli che violeranno il secondo comandamento e faranno della religione uno strumento di morte e di oppressione, ma il loro sarà sempre un abuso e una mistificazione, mai fede autentica.
Non posso evitare di chiedermi in conclusione: non mi pare di aver visto vicino alle chiese copte, né in Egitto né in Europa, nemmeno uno di quei Parlatori di Pace che vediamo sventolare le Bandiere della Pace, cantare Canzoni della Pace e partecipare alle Marce della Pace. Che fine avete fatto, amici? Possibile che quando c'è da rischiare veramente la buccia vi squagliate tutti quanti? In realtà non dovrei rimproverarvi perché il pensiero di fare da scudo umano non mi passa nemmeno per la testa, neppure se ci fosse una chiesa copta nella via dove abito. Ma dobbiamo avere almeno la decenza di riconoscere che stavolta numerosi musulmani (non tutti, forse nemmeno la maggioranza, ma comunque in troppi per essere ignorati) ci hanno dato una lezione esemplare di fraternità e di coraggio.
Giovanni Romano

giovedì 6 gennaio 2011

No, questa volta Messori ha torto

Apprezzo molto Vittorio Messori, la sua opera, il suo coraggio di apologeta senza complessi, e di lui ho letto molto. Ma nel suo articolo sul recupero dell'Epifania come festa civile comparso il 3 gennaio sul sito LaBussolaquotidiana.it, compare un'affermazione che ho trovato sconcertante e arbitraria:

Ovviamente intoccabili erano le feste civili, dal 1° maggio al 25 aprile (per inciso, faccio notare che l’Italia è l’unico Paese al mondo a celebrare con ogni solennità la sconfitta subita in una guerra) [il neretto è mio, N.d.R.]

Ma quando mai? L'Italia era già stata sconfitta poco meno di due anni prima, l'8 settembre 1943, e mai nessuno si è sognato di celebrare quella data. Il 25 aprile del 1945 non furono le forze armate italiane a capitolare, ma quelle tedesche in Italia e quelle della Repubblica di Salò. A meno che Messori non voglia sostenere che il governo di Salò fosse l'unico e legittimo rappresentante del popolo italiano, il che mi sembrerebbe quanto meno grave. Certo, il 25 aprile non fu una vittoria per gli italiani perché da una parte il Regno del Sud non era un alleato ma un semplice "cobelligerante" che fu trattato anzi malissimo al tavolo della pace; e dall'altra il contributo strettamente militare della Resistenza alla sconfitta della Wehrmacht fu quasi trascurabile, e senza l'aiuto degli Alleati i partigiani non l'avrebbero nemmeno impensierita.

Ma, checché ne dica Messori, questa data ha un importante significato morale perché dimostra che non tutti gli italiani volevano la dittatura e che anzi non pochi furono pronti a prendere le armi, senza attendere l'arrivo dei "liberatori". E poi chiedianoci: la causa per cui si battevano i soldati di Salò era forse giusta? Faccio un esempio estremo: gli unici militari di questo regime che considero "puliti" perché non si macchiarono mai di nessun massacro, furono i piloti della RSI. Erano gente d'incredibile coraggio perché si batterono uno contro cento, in duelli aerei leali da cui ben pochi sopravvissero. Nessuno di loro si abbassò a mitragliare o a bombardare a sangue freddo i civili indifesi, come invece fecero molti piloti angloamericani sicuri della più assoluta impunità. Se c'è stata in quella sordida guerra civile una vera incarnazione del coraggio e dell'onore, è a loro che va riconosciuta. Eppure anch'essi, in fondo, si batterono per difendere Auschwitz. Nessuno di loro accetterebbe questa definizione, naturalmente, tutti direbbero che si battevano per difendere le città dai bombardamenti, e questo è vero, ma non basta purtroppo ad assolverli. E se non possono essere assolti nemmeno i piloti, figuriamoci gli altri!

Si può discutere il 25 aprile sotto altri aspetti, come ad es. il monopolio che la sinistra comunista ha sempre rivendicato su questo anniversario, il disegno d'impadronirsi del potere con un colpo di stato come quello nei paesi dell'Europa Orientale, le stragi del "triangolo della morte" e le vendette sanguinarie anche su gente innocente. Ma definirlo "la solenne celebrazione di una sconfitta" è antistorico e inaccettabile.

Giovanni Romano

venerdì 31 dicembre 2010

Giuliana Sgrena: assordante silenzio sui cristiani?

Ieri sera mi è capitato di ascoltare la parte conclusiva di un'intervista a Giuliana Sgrena nella trasmissione "Farenheit" di Radio3. L'autrice presentava il suo ultimo libro, "Il ritorno". L'argomento, ovviamente, è il ritorno della giornalista a Baghdad a cinque anni dal suo rapimento, con le sue impressioni, i suoi giudizi, le sue valutazioni sulla situazione attuale.

Ho ascoltato solo l'ultima parte, lo ripeto, e quindi non so cosa avesse detto prima. Fatto sta che l'ho sentita parlare molto sull'oppressione delle minoranze (i curdi, gli sciiti, i caldei, i persiani), ma non ha speso nemmeno una sillaba sugli attacchi e le persecuzioni contro i cristiani iracheni.

Se il libro parla solo di Baghdad può darsi che la situazione sia migliore che a Mosul, e nel nord dell'Iraq, ma questo assordante silenzio non mi è piaciuto per nulla.

Giovanni Romano

giovedì 16 dicembre 2010

Ma una bancarella di pesce vale così tanto?


Ieri il TG1 ha trasmesso un servizio su un avvenimento apparentemente marginale ma che rivela una mentalità. A Chioggia i venditori al tradizionale mercato del pesce fresco sono in subbuglio perché un cinese avrebbe rilevato la bancarella di uno di loro.

La cosa ha destato molto scalpore e preoccupazione in un ambiente tradizionalmente chiuso e diffidente verso i forestieri, dove il mestiere si tramanda per generazioni e dove tutti si conoscono per soprannome. Razzismo? Forse, ma prima di pronunciare frettolose condanne varrebbe la pena di prendere in considerazione alcune domande "scomode".

Corre voce infatti che il cinese abbia pagato la bancarella ben quattro volte il suo valore. Non c'è mezzo di verificare questa notizia. Può darsi che sia stato necessario per superare la radicata diffidenza di cui sopra, ma questa ipotesi non quadra con la situazione di crisi economica -e dunque di bisogno- in cui versano molti dei pescivendoli della città. Chi è in ristrettezze vende anche per un pezzo di pane, non a quattro volte tanto. Come mai tanto interesse, tanta generosità?

La risposta, purtroppo, potrebbe essere trovata in alcune tattiche d'infiltrazione nel mercato che sono state applicate con successo dai cinesi ovunque sono andati, principalmente a Roma e a Milano, dove alcuni quartieri sono ormai diventati delle vere e proprie enclaves. All'inizio presso i commercianti si presentano delle persone molto gentili e offrono molto, ma veramente molto, per rilevare l'attività. Tutti soldi buoni e a pronta cassa, qualche volta anche troppo pronta perché queste persone gentili portano con sé valigette piene di denaro contante. Se il commerciante è disposto effettivamente a vendere, l'affare si conclude nel migliore dei modi e tutti sono contenti. Se invece si dimostra non interessato o troppo attaccato al suo negozio, dopo un po' di tempo cominciano a succedergli cose alquanto antipatiche, sul genere di incidenti, danneggiamenti, furti e compagnia bella. Allora, mangiata la foglia, quando si riprensentano le persone gentili il commerciante è molto più disponibile, anzi a volte ha addirittura fretta di vendere e andare via.

Ed ecco le tre domande scomode che pone la vicenda di Chioggia:

  1. Da dove ha preso tanti soldi il compratore?
  2. Perché è così interessato alla bancarella fino al punto di pagarla ben al di sopra del suo valore?
  3. Cosa succederà ai prezzi quando il mercato del pesce sarà interamente controllato dai cinesi?
Chiamatemi razzista se volete, ma non rinuncio a porre queste domande.

Giovanni Romano

P.S.: Quanto alla domanda n.1 c'è forse una risposta. Il compratore non è solo. Dietro di lui c'è il clan familiare dove ognuno mette una quota per rilevare l'attività, così che poi tutti i componenti troveranno un lavoro. Mentre per la nostra mentalità follemente irresponsabile la famiglia è ormai diventata un peso e un fastidio, per i cinesi -giustamente- è una grande risorsa. C'è da meravigliarsi che stiano prendendo il sopravvento?

mercoledì 24 novembre 2010

Limousine


Domenica scorsa è passata sotto casa mia una limousine mostruosamente lunga come il modello della foto. Era dipinta di bianco e rosa e sembrava un confetto gigantesco, pareva le mancasse solo un fiocco legato sopra. Un capolavoro kitsch. La precedeva un veicolo pubblicitario anch'esso bianco e rosa dov'era scritto il nome dell'agenzia che la noleggiava per matrimoni.
Non ho potuto fare a meno di sorridere amaramente. Le macchine per la festa nuziale diventano sempre più lunghe proprio quando i matrimoni diventano sempre più corti o stanno scomparendo del tutto.
Ma si ostenta di più, temo, appunto perché il matrimonio sta perdendo d'importanza. Più viene meno la convinzione che sia una cosa capitale e definitiva, più si cercano lo sfarzo e l'ostentazione, ormai oltre i limiti della pacchianeria più volgare.
Prendiamo ad esempio un altro degli aspetti attraverso cui si è banalizzato il rito delle nozze, i fotografi. In quel giorno gli sposi sono praticamente degli ostaggi in mano loro, vengono costretti ad assumere le pose più strane, a volte persino buffonesche, sbatacchiati da uno sfondo all'altro e da un tavolo all'altro (quest'ultima è una fatica spiacevole ma necessaria, noblesse oblige!). Quanto tempo resta per pensare a quello che si sta facendo, a vivere un giorno che non tornerà mai più e che dovrebbe segnare un punto di svolta nella vita?
Non parliamo poi di quello che succede in chiesa. Si riprende di tutto, anche le inquadrature più banali e insignificanti, con primi piani esasperati degni di una telenovela di terz'ordine, ma non resta niente di essenziale. Se mi fossi sposato, avrei chiesto esplicitamente che nel filmato del matrimonio fosse registrata per intero l'omelia del sacerdote, che viene sempre saltata. Questo per ricordarmi sempre delle ragioni di quel giorno, dei passi che era stato necessario fare per arrivare a quel momento, degli obblighi e delle gioie che ci avrebbero attesi. Sempre sperando che il sacerdote fosse all'altezza, ma anche la peggiore delle omelie è comunque meglio della melensaggine di certe inquadrature.
Preferirei di gran lunga vedere macchine più corte e matrimoni più lunghi.
Giovanni Romano

domenica 31 ottobre 2010

Piccolo innocuo antidoto per Halloween...


Lo ammetto, gli anni scorsi avevo preso Halloween molto più sul ridere, ma mi sto ricredendo mano a mano che ho visto quanto stia dilagando una mentalità impregnata di morte. Non credo però che il rimedio sia scagliarsi a testa bassa contro questa "festa" (chiamiamola così: che cosa ci sia da festeggiare negli scheletri, nelle tombe e nei fantasmi proprio non lo so).

Personalmente ho trovato un piccolo rimedio, o meglio mi è capitato di trovarlo senza pensarci. Avevo notato che da molti anni ormai non ci si fanno più gli auguri di Buon Onomastico per la Festa di Ognissanti. E allora ieri, prima che la scuola chiudesse per un paio di giorni, ho augurato Buon Onomastico a tutti i colleghi che ho incontrato e alle classi dove sono stato presente.

Ho visto negli occhi di tutti un breve lampo di meraviglia, ma nessuno, dico nessuno, si è mostrato scontento o si è offeso. I più anzi mi hanno ricambiato di cuore l'augurio, quasi con gratitudine perché qualcuno si è ricordato di loro e gli ha fatto capire che erano importanti, e che la loro presenza era una cosa buona.


A quale punto di deserto spirituale siamo arrivati, ho riflettuto, se nessuno ormai si aspetta più niente? O meglio, siamo noi cristiani ad aver dimenticato che il cristianesimo è innanzitutto positività, non moralismo. Un augurio vale più di mille prediche, perché ci sono molti più cuori addormentati che cuori cattivi. E c'è bisogno di risvegliarli.
Giovanni Romano

venerdì 29 ottobre 2010

Il relativismo è scuola di indifferenza verso la vita umana: la "lectio magistralis" dell'Arcivescovo di Denver






Dal sito Catholicnewsagency.com propongo questa riflessione impietosa e coraggiosamente controcorrente dell'Arcivescovo di Denver durante un seminario di studi tenuto in Canada. Certe esperienze d'oltreoceano meritano di essere conosciute anche qui perché la situazione è ormai identica. Buona lettura.



Oggi i giovani hanno perso “il vocabolario morale”,
dice l'arcivescovo Chaput



VICTORIA, Canada, 16 ottobre 2010 / 06:08 (CNA/EWTN News) – Parlando a una conferenza nella Columbia Britannica, l'arcivescovo di Denver Charles Caput ha affermato che i cattolici oggi hanno mancato di trasmettere la fede alla prossima generazione, il che ha avuto come risultato che i giovani hanno perso il loro “vocabolario morale”.

Il prelato di Denver ha pronunciato le sue osservazioni il 15 ottobre durante il seminario “La fede nello spazio pubblico” sponsorizzato dalla Diocesi di Victoria, aprendo il suo discorso con un riferimento al famoso racconto breve di Shirley Jackson “La lotteria”.

Il racconto della Jackson – ambientata nell'America rurale degli anni '40 – racconta la storia di una piccola città che si riunisce ogni anno per implorare una forza senza nome affinché conceda alla gente un buon raccolto di granturco. Ogni anno gli abitanti della cittadina estraggono un pezzo di carta da una scatola di legno per vedere chi sarà scelto per un sacrificio umano. Una giovane madre finisce per estrarre il funesto biglietto nero e viene lapidata dalla comunità come parte del rituale annuale.

Riflettendo sul brano della Jackson, l'arcivescovo Chaput ha citato l'analisi della professoressa Kay Haugaard sul modo in cui nei decenni scorsi i giovani universitari avrebbero reagito con passione al racconto, coinvolgendosi in intensi dibattiti e discussioni in classe.

“Lei ha detto che nei primi anni '70 gli studenti che leggevano il racconto esprimevano shock e indignazione”, ha puntualizzato l'arcivescovo Chaput. “Il racconto provocava dibattiti veementi su argomenti di grande importanza: il significato del sacrificio e la tradizione, i pericoli del pensiero conformista e la cieca obbedienza al capo, le esigenze della coscienza e le conseguenze della vigliaccheria”.

“Ma a partire dalla metà degli anni '90, tuttavia, le reazioni hanno cominciato a cambiare”, ha proseguito l'arcivescovo.

“La Haugaard ha descritto una discussione in classe che – per me – è stata più inquietante dello stesso racconto. Gli studenti non avevano nulla da dire se non che la storia li annoiava. Così la Haugaard gli chiese cosa pensassero sugli abitanti del villaggio che sacrificavano ritualmente uno dei loro per il bene del raccolto”.

“Uno studente, che parlava in tono molto razionale, ha sostenuto che molte culture hanno tradizioni di sacrificio umano”, ha proseguito l'arcivescovo. “Un altro ha detto che la lapidazione potrebbe essere stata parte di 'una religione stabilita da molto tempo' e quindi accettabile e comprensibile”.

Un'altra studentessa ha sollevato l'idea della “sensibilità multiculturale”, dicendo di aver appreso a scuola che “se fa parte della cultura di una persona, ci è stato insegnato che non dobbiamo giudicare”.

“Mi è tornata in mente l'esperienza della Haugaard con 'La lotteria' mentre mi preparavo per questa breve conversazione”, ha spiegato il prelato.

“La nostra cultura ci catechizza ogni giorno. Funziona come acqua che cade goccia a goccia su una pietra, erode le sensibilità morali e religiose, e lascia un buco dove solevano esserci le loro convinzioni”

“L'esperienza della Haugaard”, ha aggiunto, “ci insegna che ci è voluta meno di una generazione perché questa catechesi producesse un gruppo di giovani adulti che non sono più in grado di prendere una posizione morale contro l'assassinio rituale di una giovane donna. Non perché fossero codardi, ma perché hanno perso il loro vocabolario morale”.

“I cristiani nel mio paese e nel vostro – e in tutto l'Occidente, in generale – hanno compiuto un lavoro immenso per trasmettere la nostra fede ai nostri figli e alla cultura in generale”, ha osservato l'arcivescovo Chaput.

“Invece di cambiare la cultura intorno a noi, noi cristiani abbiamo lasciato di farci cambiare dalla cultura. Abbiamo fatto un compromesso troppo al ribasso. Non vedevamo l'ora di assimilarci e di adattarci. E nel processo siamo stati sbianchettati e assorbiti dalla cultura alla quale eravamo stati mandati per santificarla”.

“C'è bisogno che lo riconosciamo ad alta voce, e c'è bisogno che corriamo ai ripari”, ha affermato. “Per troppi di noi, il cristianesimo non è una relazione filiale con il Dio vivente, ma un'abitudine e un'eredità acquisita. Siamo diventati tiepidi nella nostra fede, e ingenui nei confronti del mondo. Abbiamo perduto il nostro zelo evangelico, e abbiamo mancato di trasmettere la nostra fede alla prossima generazione”.

Rinnovare la catechesi cattolica allora, ha aggiunto l'arcivescovo Chaput, “ha poco a che fare con le tecniche, o le teorie, o i programmi, o le risorse. La questione centrale è se noi crediamo davvero o no. La catechesi non è una professione. E' una dimensione di sequela. Se siamo cristiani, siamo chiamati tutti a essere maestri e missionari”.

Tuttavia, ha osservato il prelato di Denver, “Non possiamo condividere ciò che non possediamo. Se gli insegnamenti della Chiesa ci imbarazzano, o se siamo in disaccordo, o se abbiamo deciso che sono troppo difficili per essere vissuti, o troppo ardui da spiegare, allora ci siamo già sconfitti da soli”.

“Abbiamo bisogno di credere davvero in quel che sosteniamo di credere”, ha ribadito. “Bisogna che smettiamo di chiamarci 'cattolici' se non stiamo con la Chiesa nei suoi insegnamenti - nessuno escluso”.

Nelle sue osservazioni conclusive, l'arcivescovo Chaput ha aggiunto che “Se siamo realmente cattolici, o quanto meno se vogliamo esserlo, allora c'è bisogno che agiamo da cattolici con zelo e obbedienza, e il fuoco di Cristo nei nostri cuori”.

“Dio ci ha dato la fede per condividerla. E per questo ci vuole coraggio. Ci vuole una deliberata demolizione della nostra vanità. Quando lo facciamo, la Chiesa è forte. Quando non lo facciamo, diventa debole. Tutto qui”.

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Giovanni Romano

giovedì 28 ottobre 2010

L'ombrellaio, un mestiere irrazionale


Con l'arrivo della cattiva stagione si tirano fuori gli ombrelli, e prima o poi si presenta la necessità di ripararli. Qualche folata di vento che lascia una stecca deformata, il puntale che si piega, un fermo della tela che si stacca, ed ecco che l'ombrello diventa quasi inutilizzabile se non interviene una riparazione.

Il problema è trovare dove ripararli. Gli ombrellai sono praticamente spariti, e solo rarissimamente, non più di una volta all'anno, passa dalle mie parti un ambulante in macchina, che chiama i clienti col megafono. Ma come fa uno che abita al quinto o al settimo piano a precipitarsi in strada nei trenta secondi scarsi che quello resta ad aspettare? Non può certo mettersi a inseguirlo! Va a finire invariabilmente così: l'ambulante passa oltre perché non dà a nessuno il tempo di rispondere, e torna sempre meno perché crede che nessuno abbia bisogno di lui. Un circolo vizioso che ha fatto sparire un mestiere.

Quali possono essere le cause? Probabilmente la nostra abitudine allo spreco e gli affitti troppo alti dei locali che hanno costretto gli ombrellai a diventare girovaghi. Ci potrebbero essere dei rimedi? Forse uno o due: l'ambulante potrebbe usare il megafono per dare un numero di cellulare dove raggiungerlo, o meglio ancora potrebbe lasciare dei volantini con le indicazioni su come contattarlo.

Perché mi occupo di un problema in apparenza tanto marginale? Perché l'ombrello, almeno per me, è un oggetto che ci appartiene più profondamente di molti altri. Quando piove lo sentiamo protettivo più di un impermeabile o di un cappuccio. Ci appartiene anche perché, volenti o nolenti, dobbiamo averne cura e siamo costretti a non dimenticarlo. Il suo aspetto e il suo stile sono un messaggio anche nei confronti degli altri, comunicano a distanza quello che siamo. Quando si guasta o lo dobbiamo buttare, credo che nessuno lo faccia con l'indifferenza con cui si butta via uno stuzzicadenti.

Non dobbiamo infine dimenticare che con la crisi diventa più conveniente ripare che buttare. Del beneficio ambientale, e del cambiamento positivo di mentalità che viene dal rifiutare l'usa-e-getta, non è nemmeno il caso di parlare tanto la cosa è evidente.

Giovanni Romano

Una modesta proposta ai baristi...

Sinceramente non so come facciano i baristi a vivere tutto il giorno con la musica a tutto volume. Forse bisognerebbe condurre degli studi di psicologia e di medicina del lavoro per esaminare le conseguenze di un'esposizione tanto prolungata e incontrollata.

Quello che so è che a me, entro certi limiti, piacciono i posti animati e pieni di vita. Si fanno tante lodi del silenzio ma, nella mia vita almeno, il silenzio ha significato solo il vuoto, il deserto affettivo o l'abbandono delle persone alle quali ho voluto bene.

Ma una cosa è l'animazione spontanea di una compagnia, un'altra è il chiacchiericcio interminabile della radio o peggio ancora della TV. Per questo proporrei a qualche barista coraggioso di istituire dei locali "radio/TV-free" dove dovrebbe esserci posto solo per le voci umane, o al massimo per la musica dal vivo. Locali del genere dovrebbero già essere presenti soprattutto al Nord. Chissà cosa succederebbe se ci liberassimo dalla paura nevrotica non del silenzio, ma di ascoltarci come veramente siamo.

Giovanni Romano

sabato 11 settembre 2010

BBC: Dai cattolici adulti ai cattolici per soli adulti...


Dal sito http://www.catholicnewsagency.com/

Il Cardinale O' Brien accusa la BBC di cercare di “umiliare” il Papa, e dice che è tempo di nominare un direttore per le trasmissioni religiose

LONDRA, 6 settembre 2010 / 09:02 am (CNA/EWTN News) – Il cardinale Keith O' Brien, la massima autorità cattolica in Scozia, ha accusato domenica la BBC di essere contaminata da “una mentalità radicalmente secolarista e socialmente libertina”. Poi il prelato ha aggiunto che l'ente pubblico diretto da Mark Thompson, un cattolico 52enne educato dai gesuiti, dovrebbe nominare immediatamente un direttore per le trasmissioni religiose.

Il Cardinale O' Brien, che è arcivescovo di St. Andrews e di Edimburgo, ha accusato anche la BBC di tramare un “colpo gobbo” ai danni del Vaticano in un documentario sugli abusi sessuali dei sacerdoti in occasione della visita di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna.

“Questa settimana il direttore generale della BBC ha ammesso che l'ente ha mostrato 'pesanti pregiudizi' [bias] nella copertura politica per tutti gli anni '80, riconoscendo l'esistenza di una parzialità [bias] politica istituzionale”, ha detto il Cardinale.

“La nostra dettagliata ricerca sulla copertura giornalistica della BBC sul cristianesimo e in generale e sul cattolicesimo in particolare, assieme a un'analisi sistematica di quanto ha pubblicato la Chiesa cattolica, ha rivelato una costante parzialità istituzionale anticristiana”, ha aggiunto.

Come prova, il Cardinale O' Brien indicato il declino del 15 per cento della programmazione religiosa nel corso degli ultimi vent'anni. Inoltre, ha aggiunto, fonti interne alla BBC hanno ammesso in privato che nell'emittente esiste una intolleranza culturale contro il cristianesimo.

“Alcuni capiservizio hanno ammesso alla Chiesa cattolica che una mentalità radicalmente secolarista e socialmente libertina pervade le loro redazioni. Questo macchia tristemente il modo in cui la BBC dà notizia delle questioni religiose, particolarmente nelle questioni che riguardano la fede cristiana”.

L'arcivescovo di Edimburgo ha espresso la sua preoccupazione che la BBC userà un documentario che sarà trasmesso prossimamente, intitolato “Benedetto – Processo a un Papa” (1) per “umiliare il Pontefice in coincidenza con la sua visita in Gran Bretagna”. Il programma è stato creato da Mark Dowd, un ex frate domenicano omosessuale, e andrà in onda il 15 settembre [La visita del Papa comincerà il 16 settembre, N.d.T.].

Il Cardinale si è unito al recente appello della Chiesa d'Inghilterra affinché la BBC nomini un direttore all'informazione religiosa per affrontare il problema del declino e della parzialità dell'informazione religiosa.

La BBC ha immediatamente respinto le critiche del Cardinale O' Brien sul suo modo di fare informazione religiosa. Una portavoce ha detto al Telegraph che “il dipartimento cronaca e affari interni della BBC ha un corrispondente religioso a tempo pieno”.

Infatti, l'anno scorso la BBC ha nominato il sig. Aaqil Ahmed come capo delle trasmissioni religiose, il primo musulmano a raggiungere quella posizione.

Nondimeno Roger Bolton, che presenta la trasmissione “Feedback” di Radio 4, ha detto agli inizi di quest'anno in una cerimonia di premiazione a Londra che la prospettiva religiosa è stata spesso “assente in modo sconcertante” sia nelle trasmissioni che dietro le quinte delle discussioni di redazione.

“La BBC Television, a differenza della BBC Radio, sembra essere nelle mani dei secolaristi e degli scettici, che considerano la copertura delle notizie religiose come un obbligo alquanto seccante da minimizzare il più possibile anziché un'area ricca e promettente da esplorare”, ha detto Bolton.

Ha notato inoltre che Aaqil Ahmed aveva uno stato di servizio di prim'ordine a Canale 4, ma che alla BBC il suo “campo da gioco” era “più simile a un cortile da pallamano che a uno stadio di calcio”.

Bolton ha aggiunto che la BBC News dovrebbe nominare un direttore delle trasmissioni religiose con anzianità e di prestigio paragonabili al caposervizio agli affari economici Robert Peston, così da apparire in prima fila nei suoi bollettini radio e TV.

“La BBC News ha bisogno di un direttore delle trasmissioni religiose in grado di apparire sui media per interpretare i più recenti sviluppi religiosi in patria e all'estero, ma ancor più per introdurre un punto di vista religioso su una vasta gamma di questioni come gli affari esteri e i dilemmi medici dove questa prospettiva è tanto spesso assente, e in modo così sconcertante”, ha dichiarato Bolton.

Copyright © CNA
http://www.catholicnewsagency.com/

Unautorized translation by
Giovanni Romano

(1) Il titolo originale è volutamente ambiguo: “Benedict - The Trials of a Pope”. In inglese, “Trial” può significare tanto “processo” quanto “prova, tribolazione”. Non c'è dubbio però a quale dei due significati faccia riferimento la BBC. [N.d.T.]